Pochissime, ma fondamentali.
Quale Big-Bang?
“Sono troppo stanco di viole
portatele tutte via!”
[in “Manhattan Transfer” di John Dos Passos ]
La quiete? Il buen retiro? Neanche questo, impresso nelle opere di Rossana Corti, lo è.
Siamo ben lontani dal locus amoenus, zona franca dove ognuno sogna di ritornare fuggendo, prima di soccombere, schiacciato da eventi, contraddizioni insopportabili, insostenibili compromessi… balle quotidiane somministrate sistematicamente in pillole pro rachitismo mentale e fisico e, alla fine, letali!
Sarebbe auspicabile e, nei sogni pittorici di Rossana Corti si fa strada, il raggiungimento di un hortus conclusus, ideale oasi dove mente e corpo possano di nuovo dialogare amandosi nell’esenza, in cui una natura meno problematica possa concedersi senza traumi stagionali, offrirsi gratuitamente coi suoi cicli miracolosi, partorendo paesaggi, generando atmosfere e accogliendo nel suo liquido, l’uomo.
Nelle mappe paesaggistiche di Rossana Corti, apparentemente e, per un attimo, si fa strada l’illusione che questo accada.
Gli scorci paesaggistici, preludi e segmenti di un universo infinito con cui dialogare con lo sguardo e con la mente, altro non sono che la ricerca lenta ma spasmodica di un incontro tra uomo e natura ormai impossibile.
Quest’ultima ha ormai inghiottito l’uomo – omuncolo, oltraggioso e stupratore.
La natura si distende impassibile nelle tele, lucida, oleosa, liscia dea paga dei suoi colori che, nella pregnanza di certi freddi e surreali verdi si lascia andare scivolando in cromatismi che nella tenuità dei toni e degli sfumati presagiscono anche alla capacità di generare poesia e idillio e, come lava, va raffreddandosi repentinamente a contatto con cielo e terra in un algido sfavillio di luminescenze irreali e invivibili, frigide distese, sterili insenature, immobili alvei acquatici da dove non nascerà più nessun archeobatterio… primordiale inizio o presagio di nuova vita!
Caterina Spiga Marras
“Sono troppo stanco di viole
portatele tutte via!”
[in “Manhattan Transfer” di John Dos Passos ]
La quiete? Il buen retiro? Neanche questo, impresso nelle opere di Rossana Corti, lo è.
Siamo ben lontani dal locus amoenus, zona franca dove ognuno sogna di ritornare fuggendo, prima di soccombere, schiacciato da eventi, contraddizioni insopportabili, insostenibili compromessi… balle quotidiane somministrate sistematicamente in pillole pro rachitismo mentale e fisico e, alla fine, letali!
Sarebbe auspicabile e, nei sogni pittorici di Rossana Corti si fa strada, il raggiungimento di un hortus conclusus, ideale oasi dove mente e corpo possano di nuovo dialogare amandosi nell’esenza, in cui una natura meno problematica possa concedersi senza traumi stagionali, offrirsi gratuitamente coi suoi cicli miracolosi, partorendo paesaggi, generando atmosfere e accogliendo nel suo liquido, l’uomo.
Nelle mappe paesaggistiche di Rossana Corti, apparentemente e, per un attimo, si fa strada l’illusione che questo accada.
Gli scorci paesaggistici, preludi e segmenti di un universo infinito con cui dialogare con lo sguardo e con la mente, altro non sono che la ricerca lenta ma spasmodica di un incontro tra uomo e natura ormai impossibile.
Quest’ultima ha ormai inghiottito l’uomo – omuncolo, oltraggioso e stupratore.
La natura si distende impassibile nelle tele, lucida, oleosa, liscia dea paga dei suoi colori che, nella pregnanza di certi freddi e surreali verdi si lascia andare scivolando in cromatismi che nella tenuità dei toni e degli sfumati presagiscono anche alla capacità di generare poesia e idillio e, come lava, va raffreddandosi repentinamente a contatto con cielo e terra in un algido sfavillio di luminescenze irreali e invivibili, frigide distese, sterili insenature, immobili alvei acquatici da dove non nascerà più nessun archeobatterio… primordiale inizio o presagio di nuova vita!
Caterina Spiga Marras